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S.F.W.L. : La formula della comunicazione nonviolenta

28/11/2010

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Ne avevamo già parlato lo scorso anno, ma mi è sembrato utile ritornare sull'argomento cui fa cenno il titolo di questo nuovo 'post'. E' proprio così: per comunicare senza violenza spesso basterebbe attenersi a questa semplice indicazione. Basterebbe, cioè, ricordarsi che i nostri interlocutori non sono dei bersagli su cui lanciare le nostre 'freccette', ma delle persone come noi, con le quali dovremmo comunque cercare uno scambio e non un invio di messaggi a senso unico. Ecco perché la formula suggerita da un noto studioso statunitense della comunicazione nonviolenta, il professor Rosemberg, potrebbe aiutarci a trasmettere non solo la nostra comprensibile rabbia o scontentezza per una situazione negativa, ma anche -  e soprattutto -  la speranza che essa possa essere cambiata, con un po' di buona volontà reciproca, che può nascere solo dall'intesa.
La sigla che compare nel titolo è l'abbreviazione della formula completa che Rosemberg ci suggerisce per una comunicazione nonviolenta. In inglese, infatti, essa suona come: (1) I see (2) I feel (3) I wish (4) I'd like. In italiano una traduzione potrebbe essere: << Quando mi accorgo di______provo un sentimento di_______e mi auguro di________, per cui mi piacerebbe che tu/voi_________>>.
Vi sembra una stupidaggine?  Vi viene da ridere solo a pensare di usare questa formuletta ogni volta che qualcuno vi urta o ferisce la vostra sensibilità?  Beh, vi consiglio di provare a metterla in pratica e, del resto, un primo tentativo lo abbiamo già fatto in occasione del circle time di venerdì scorso.
Non possiamo dare per scontato che gli altri si rendano conto di quanto ci possono ferire con una parola, un gesto o un comportamento, per cui è sempre meglio farglielo sapere chiaramente, senza paura di apparire "deboli" o troppo "fragili". D'altra parte, è dimostrato che rivolgersi agli altri usando il "tu" o il "voi" come un dito puntato, e quindi solo per attaccare, non solo non serve a nulla, ma suscita reazioni di difesa degli interlocutori, spesso ancora più aggressive, e quasi mai delle scuse.
Non dobbiamo avere paura di esporci troppo, di essere sinceri e di manifestare i nostri sentimenti. Tutto questo non c'indebolisce affatto, ma piuttosto ci mette in grado di scambiare con gli altri messaggi chiari e sinceri, senza doverci creare schermi o difese artificiali.
Lo so: non è facile. Il nostro orgoglio c'impedisce di mostrarci come siamo e un po' tutti, genitori compresi, ci hanno sempre insegnato a non "esporci" troppo, perché gli altri sicuramente "ne approfitterebbero".  La verità è che questi sono solo luoghi comuni e che per difendersi non c'è affatto bisogno di attaccare a nostra volta, col rischio di misurarci con gli altri su un terreno - quello della violenza verbale o fisica - che, fortunatamente, spesso non è il nostro e che, quindi, ci vede perdenti in partenza... Il discorso è troppo lungo per affrontarlo tutto insieme. Aspetto qualche vostra osservazione o un commento in proposito. In ogni caso, non mancheremo di riprendere la questione in classe, per discutere sui modi più giusti, ma anche più efficaci, per rispondere all'aggressività degli altri.

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    Autore

    ERMETE FERRARO (Napoli 1952), laureato in Lettere e diplomato in Servizio Sociale, è docente ordinario di materie letterarie nella scuola media. E' anche attivista ecopacifista, operatore sociale ed operatore pastorale. Ha scritto alcuni libri e vari articoli. (Web: www.ermeteferraro.it - blog.: http://ermeteferraro.wordpress.com

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